Testimonianze
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VITO FRAZZI
di Marcello Conati Nacque a San Secondo il 1° agosto 1888 da una modesta famiglia di lavoratori animata da una grande passione per la musica. Il padre Antonio - il popolare "Jofini" - di professione calzolaio, originario di Carzeto di Soragna (dove era nato il 15 maggio 1862), era famoso in tutta la Bassa come prolifico ed estroso compositore di ballabili e come virtuoso di quartino (clarinetto piccolo, solitamente tagliato in re o in mi bem.), col quale strumento si esibiva nel Concertino Bocchia e Galli di San Secondo, complesso del quale fecero parte per qualche tempo anche i figli Raoul, e Vito. A quest'ultimo diede il nome lo zio materno Vito Allegri, contrabbassista della Scala e poi dell'orchestra di Firenze. Vito ebbe tre fratelli, divenuti tutti musicisti: Raoul, affermatosi fra i più rinomati maestri di canto del suo tempo (ebbe ad allievi, fra gli altri, Duilio Baronti, Gino Bechi, Onelia Fineschi, Rolando Panerai, Anita Cerquetti); Aldo, violinista e pianista; Francesco, oboista. Una delle sorelle di Vito andò sposa al basso Duilio Baronti. All'età di nove anni, grazie a una sottoscrizione di una decina di sansecondini, Vito fu iscritto come alunno esterno al Conservatorio di Parma, allora diretto da Giovanni Tebaldini (3 novembre 1897), e assegnato alla classe di violoncello. Ma lo studio di questo strumento non diede il profitto desiderato e, due anni dopo, per interessamento dello stesso Tebaldini, fu iscritto alla classe d'organo tenuta dall'autorevole Arnaldo Galliera. Pochi mesi dopo otteneva il posto gratuito di convittore e più tardi iniziava anche lo studio dell'armonia e contrappunto sotto la guida di Italo Azzoni. Nel 1907 Vito si diplomava in organo e tosto intraprendeva, incalzato da necessità materiali, l'attività di pianista di caffè-concerto, conducendo per qualche anno una vita randagia: La Spezia, (dove suonò con Ettore Petrolini, allora agli inizi della notorietà, il quale avrebbe voluto averlo con sé in una tournée americana), Genova, la Svizzera, quattro viaggi sul "Principessa Mafalda" sulla rotta del Nord America... Poté così raggranellare un piccolo risparmio che gli consentì di terminare gli studi di composizione, diplomandosi nel 1911 a Parma con Italo Azzoni e Guido Alberto Fano. L'anno successivo, durante la ferma militare, vinceva il concorso per l'insegnamento di pianoforte complementare all'Istituto "L. Cherubini" di Firenze, dove già dal 1909 Ildebrando Pizzetti teneva la cattedra di armonia e contrappunto. Da Firenze non si sarebbe più mosso. Nel 1919 con un Inno a Verdi vinceva un concorso bandito dal Comune di Parma per l'inaugurazione del monumento a Verdi (l'Inno fu eseguito al Teatro Regio il 22 febbraio 1919 sotto la direzione di Tullio Serafin in un concerto di musiche verdiane). Nel 1920, con il poemetto per coro e orchestra Cicilia, vinceva il concorso bandito dal Comune di Milano (la composizione ebbe numerose esecuzioni in Italia e all'estero); nel 1922, con La preghiera di un clefta, vinceva il concorso bandito dall'Annuario Musicale Italiano. Nel 1924, otteneva la cattedra di armonia e contrappunto, che già era stata di Pizzetti (il quale, nominato direttore dell'Istituto fiorentino, proprio in quell'anno era passato a dirigere il Conservatorio di Milano). E due anni dopo otteneva la cattedra di composizione che avrebbe tenuto fino al 1958, anno del suo pensionamento. In oltre trentacinque anni d'insegnamento Vito Frazzi formò generazioni di allievi; fra essi nomi destinati a diventare famosi. Ricordiamo, fra i tanti, Luigi Dallapiccola, Valentino Bucchi, Bruno Bartolozzi, Carlo Prosperi, Francesco Lavagnino, Bruno Bettinelli, Alberto Soresina, Francesco Siciliani, Bruno Rigacci, Emidio Tieri, Vittorio Baglioni, Raffaele Gervasio, Milko Kelemen, Bogdan Gagic. A Siena, fin dall'anno della fondazione, 1932, venne nominato titolare dei corsi di perfezionamento in composizione, incarico che tenne fino al 1963. Le tappe più significative della sua attività artistica sono costituite dalle sue due opere teatrali: Re Lear e Don Chisciotte, cui dedicò lunghi anni di lavoro. Re Lear, opera in tre atti su libretto di Giovanni Papini, composta fra il 1922 e il 1929, poté andare in scena al Teatro Comunale di Firenze solo il 29 aprile 1939, nell'ambito del Maggio Musicale Fiorentino, sotto la direzione di Vittorio Gui. Ebbe due rappresentazioni. Il Don Chisciotte, opera in tre atti e sei quadri su libretto proprio, uscito vincitore del secondo premio del concorso internazionale "Giuseppe Verdi" per un'opera nuova, bandito dal Teatro alla Scala, andò in scena anch'esso al Teatro Comunale di Firenze il 28 aprile 1952, sempre nell'ambito del Maggio Musicale Fiorentino, sotto la direzione di Emidio Tieri. Se ne diedero due rappresentazioni. Naturalmente il significato dell'opera artistica di Vito Frazzi va oltre questi due importanti appuntamenti con il teatro e si estende alle musiche di scena per lavori di Cicognani e di Papini, alla musica sinfonica e da camera e soprattutto alle composizioni vocali, che per tempo attrassero l'attenzione della critica musicale intorno al suo nome. Uomo di solidi interessi culturali fu accanto ai "vociani", frequentò artisti e letterati quali Medardo Rosso, Bruno Barilli, Ardengo Soffici, Dino Campana, De Robertis, e si legò di affettuosa e duratura amicizia con Papini, Cicognani e soprattutto il pittore Oscar Ghiglia (con Frazzi i "quattro cervelli alla conquista del sette bello", di cui narra Cicognani nel suo volume Le fantasie). Oltre che come compositore e didatta, Vito Frazzi svolse anche un'intensa attività di trascrittore e revisore di musiche antiche e dimenticate, iniziata nel 1943 in occasione delle feste monteverdiane di Cremona, e proseguita per oltre vent'anni a beneficio soprattutto delle Settimane Musicali Senesi dell'Accademia Chigiana, del Maggio Musicale e del Teatro della Scala (vedi catalogo delle opere). Dopo il 1963, Frazzi condusse una vita molto ritirata, "… sempre più estranea e disinteressata alla crescente attività musicale che si sviluppava a Firenze. Una necessità, la sua, dovuta all'avanzare dell'età, ma anche a un gesto di isolamento contro uno degli aspetti negativi della cultura musicale egemone d'oggi, quello di considerare con scarso interesse gli artisti appartenenti al linguaggio storico italiano compreso tra le due guerre" (C. Prosperi). Vito Frazzi moriva a Firenze il 7 luglio 1975. Figura di assoluta integrità artistica, Vito Frazzi si distingue dalla generazione dell' "Ottanta" (Pizzetti, Malipiero, Casella) con voce propria e originale. E' stato giustamente osservato come all'idea di un rinnovato gusto diatonico di Pizzetti, e al linguaggio neo-rinascimentale di Malipiero, ribelle al melodramma italiano, Frazzi abbia contrapposto "una ideale continuazione del melos postromantico, schiudendosi istintivamente anche ai nuovi orizzonti di quell'espressionismo musicale il cui significato verrà appreso più tardi dalla cultura italiana", tuttavia guardando con occhio vivo e interessato alla grande lezione armonica offerta da Debussy" (C. Prosperi), senza peraltro dimenticare le radici culturali di uomo della Bassa, nato - come osservava Papini - nella "zona d'influenza della miglior tradizione musicale italiana, in quel vecchio ducato di Parma dal quale sono venuti a noi Verdi e Toscanini, Pizzetti e Barilli". Già nel 1937 Dallapiccola sottolineava due elementi caratteristici delle composizioni di Frazzi: l'elemento lirico a sfondo popolaresco e quello drammatico. Ma a proposito del primo precisava: "sarà bene notare subito come mai Vito Frazzi sia stato tentato dal folklore, neppure negli anni in cui, anche da parte di musicisti di grande valore, si considerava proprio l'elemento folkloristico destinato a infondere nuovo sangue e nuova vita alla musica moderna. [...] Frazzi non crede dunque al folklore. Si sente popolano, ma non accetta elementi musicali di origine popolare. Vuole inventare volta per volta l'anima del popolo". Mirabile strumentatore, perfetto conoscitore della tecnica armonica, Frazzi ha eletto il popolo destinatario della propria opera creativa, e perciò, ha osservato Papini "egli ha preferito sempre la musica sposata alle parole, la musica assorellata alla poesia", con particolare predilezione per i testi popolari: napoletani, toscani, ticinesi, greci, anonimi trecentisti [...]. Ma senza mai cedere a facili, gratuiti melodismi; anzi con un gusto sorvegliatissimo quanto raffinato, e soprattutto con un rigore compositivo che costituisce tuttora una lezione esemplare. A livello teorico Frazzi elaborò "una prassi compositiva che egli era andato, quasi inconsapevolmente, elaborando negli anni (specie durante la composizione del Re Lear) : furono `le scale alternate', una proposta di ampliare lo spazio sonoro fino alla politonalità, pur consentendo sovrapposizioni ed impasti di particolare delicatezza di matrice francese" (C. Orselli). In anni in cui in Italia si tendeva a ignorare le proposte rivoluzionarie della scuola viennese (Schoenberg, Berg, Webern), Frazzi cercava così per via solitaria ma tanto più coraggiosa, una risposta alla crisi del linguaggio musicale contemporaneo; una risposta avanzata che lo separava dalle esperienze ormai datate della generazione dell'Ottanta e lo poneva a ridosso delle nuove generazioni, accostato all'avanguardia musicale di un Dallapiccola. Era la risposta di un uomo che viveva nella cultura del proprio tempo senza nostalgie per il passato e con l'occhio all'avvenire. Ricordava Dallapiccola: "Quando Vito Frazzi faceva lezione, al Conservatorio o a casa sua, aveva il raro dono di interessare noi scolari considerando se stesso e noi al medesimo livello mentale e culturale, esponendoci i suoi molti dubbi, proponendoci le varie soluzioni dei problemi che gli si presentavano e quasi invitandoci a collaborare con lui. Talvolta ci faceva sentire al pianoforte le pagine dell'opera recentemente scritte. Facendo lezione sembrava far presente agli alunni la famosa mirabile frase del creatore poetico tedesco (Hoelderlin): "Wir sind nichts; was wir suchen ist alles" (Quello che siamo è nulla; quello che cerchiamo è tutto). In questa frase si racchiude il significato dell'opera artistica e culturale del "maestro di San Secondo", del figlio del popolarissimo "Jofini", Vito Frazzi.
M. Conati - Vito Frazzi
(da: San Secondo Parmense: Antologia di Personaggi Comune di San Secondo Parmense, 1982) |