Testimonianze
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IL DON CHISCIOTTE DI VITO FRAZZI
di Bruno Cicognani Non credo che sia dato molte volte, nella storia del melodramma, un incontro così fatale, stavo per dire un'identità, nel carattere e nello spirito, tra autore e personaggi come tra Vito Frazzi e i suoi diletti Chisciotte e Sancio. E' vero che in ogni uomo vivo alla vita molto spesso sono presenti, in perenne contrasto, il cavaliere dell'ideale e il buon senso della realtà, donde l'immortalità del poema di Cervantes; ma di rado, io almeno ho veduto codesta presenza incarnarsi ne gli aspetti anche esteriori e animarsi nei comportamenti, negli atteggiamenti, nella discussione stessa dei problemi attinenti alla vita trascendentale e a quella comune, di tutti i giorni, con tanta evidenza quanta nel caro mio vecchio amico. Amabile volto "sguincio" il suo, quando nell'ottimismo di un'accettazione gioconda della vita, pur con tutti i guai inevitabili, con tutte le ingiustizie irreparabili dolce a chi sa goderla, egli ne gusta l'inebriante sapore. Lieta è la mensa, piacevole il conversar con gli amici indugiando a tavola nell'esultanza del "figlio del sole", buone e belle la natura e le cose, e le tristezze colpa degli uomini che guastano tutto con le aberrazioni loro. Così, guardando con simpatia l'universo, Frazzi ha negli occhi umidi un languore di sensuale beatitudine: anche la bocca carnosa e i capelli lunghi e molli richiamano le immaginazioni di quel che di festante tripudio era nei cortei bacchici. Ma basta che nel discorso scocchi una scintilla di fuoco ideale perché in lui si accendano tutti i castelli della fantasia, esplodano tutte le violenze rivoluzionarie, e al senso di un mondo di forme concrete retto da una millenaria saggezza subentri la visione di un altro mondo, ove tutto è trasfigurato in immagini vere soltanto per lui, retto da leggi paradossali e in cui ogni avventura si conclude in disastri della materia e in trionfi dello spirito. E, mentre anche la sua figura in codesti momenti quasi si prosciuga e si fa màcera e dà l'impressione di una torcia squassata dal vento, egli alza prepotente la voce e sopraffà e soverchia con una violenza che non ha riparo. Ma irrimediabilmente sconfitto pésto e lacero, eppure non scoraggiato mai e pronto sempre a ritentar l'avventura, presto si rimette in tono e il suo aspetto riprende la cara dolce paziente espressione di accorta saggezza. Impasto dunque di codesta antitesi che in certi momenti si scinde, apparendo isolato l'uno e l'altro dei due personaggi, portandone egli in sé la conciliazione e la sintesi, bisognava per forza che, prima o dopo, l'artista componesse la propria intima biografia. Ogni vero artista ha sentito sempre codesto bisogno, e lo ha soddisfatto nel modo più armonico al proprio carattere e ai mezzi espressivi a sua disposizione. Il pittore fa l'autoritratto; il poeta ritrae se stesso nello specchio della propria coscienza, o narrando la propria essenziale vicenda, o nella figura d'un suo personaggio - scoperte di se stesso a se stesso -. Vito Frazzi è un musicista, un musicista potente: e ha espresso se stesso in un'opera di musica. Il Don Chisciotte che udremo è, in questo senso, la sua autobiografia. È naturale perciò che fino da quando Vito Frazzi, poco più che adolescente, nella sparuta biblioteca del farmacista del suo paesello - San Secondo Parmense - lesse per la prima volta le avventure del "cavaliere della trista figura", accompagnato, come dalla sua ombra, dalla figura gioviale dell'affezionato scudiero, egli sentisse ambedue i personaggi vivere in dissonanza armonica dentro di lui. E il primo tentativo d'opera musicale, sempre quando la giovinezza faceva tutto bello, e così anche i primi bocci dell'ingegno, per il fuggitivo sorriso dell'illusione, fu su episodi del capolavoro spagnolo composti per lui da Puccio Pucci futurista lacerbiano. Poi, l’ispirazione profondò ad arricchirsi sempre maggiormente di linfe istintive e di succhi d'esperienze; finché, nella piena maturità dell'uomo e dell'artista, l'ispirazione è tornata a dominare irresistibile e ha prodotto il frutto da tanto tempo preparato. Sempre, l'autobiografia è un frutto della maturità fisiologica e creativa d'un artista. Quasi la riprova e il documento del pieno possesso, ormai, di tutto se stesso. L'uomo si è conosciuto - fin dove all'uomo è dato potersi conoscere -; e rappresenta nella pienezza- quale concessa dalle forze del proprio ingegno - il proprio dramma; commedia o tragedia, anzi, nell'uomo completo, commedia insieme e tragedia: realtà e trascendenza, accettazione e ribellione, gusto della vita, pace solo nella morte. E l'artista è giunto anche al possesso intero dei propri mezzi espressivi. Si sa che ogni vero artista si crea un suo proprio linguaggio, una sua grammatica, una sua sintassi, un suo stile la cui aderenza alla qualità del proprio ingegno e all'essenza del proprio spirito è naturale che non sia mai così visibile come nella "ricreazione" di se stesso. Com'è naturale che un'artista non sia tanto spontaneo, tanto sincero, tanto eloquente, tanto efficace, tanto persuasivo e commovente quanto in codesta sua opera. Così Frazzi è arrivato al Chisciotte dopo un lungo e sempre più ascensionale cammino: dai Tre notturni corali al Preludio magico, dalle musiche di scena per Belinda e il mostro e per Yo, el Rey al balletto L'astuto indovino, e finalmente dal Re Lear al Don Chisciotte. La sua arte è andata evolvendosi secondo una legge d'accordo tra sviluppo e liberazione interiore e il trar profitto, nella tecnica espressiva, di ogni nuova scoperta e il liberarsi, insieme, da ogni inceppo accademico, da ogni convenzione, da ogni "sistema" di qualsivoglia scuola, fino alla conquista d'un'armonia cromatica ultratonale, pura così da ogni tradizionalismo come da ogni intellettualismo e sviluppantesi da una verità rigorosamente scientifica e in una infinita possibilità di fantasie e d'invenzioni. E basterà a dimostrare questa differenza tra l'originalità del mezzo espressivo e, diciamo così per intendersi, il contenuto della sua odiernissima opera, riportare quel che osservava la commissione giudicatrice nel concorso in cui l'opera è balzata in luce: "Ogni singolo episodio illumina il protagonista nelle sue gesta che hanno sempre un carattere inconfondibile: messo di fronte a una comune situazione, il protagonista la risolve sempre secondo un suo tipico modo che appunto noi chiamiamo donchisciottesco perché trasporta con la sua fantasia nella sfera dell'irreale la realtà contingente". Il pubblico del Maggio fiorentino sentirà come il miracolo si sia, musicalmente, compiuto.
B. Cicognani - Il Don Chisciotte di Vito Frazzi
da "XV Maggio Musicale Fiorentino" Firenze 1952 |