Testimonianze
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RICORDO DI VITO FRAZZI
di Raffaele Gervasio Un giorno a Firenze, nel 1934, ero seduto al pianoforte con accanto Vito Frazzi, che in quel Conservatorio "Cherubini" era mio Maestro di Composizione. Nel mostrargli una mia partitura gli chiesi quale risultato, secondo lui avrebbe avuto in quella tale battuta un certo impasto (lo ricordo bene) di viole, 2 corni e clarinetto basso. Si trattava oltretutto di una combinazione fonica per niente problematica, direi anzi di grigia prevedibilità. Ma Frazzi non rispose subito. Stava li pensoso, appoggiandosi col gomito ai tasti più acuti del pianoforte e sbirciando a più riprese ciò che precedeva o seguiva la battuta in questione. Finalmente si pronunciò, dicendomi con un sospiro: "E chi lo sa?". Gia da quel primo momento la stima e l'affetto per lui mi impedirono di giudicare banalmente insicura, e deludente, quella risposta. Intuivo che Frazzi si era espresso ancora una volta al di sopra del comune livello, confermando innanzitutto la sua nota e totale indifferenza nei riguardi della cosiddetta sicurezza artigianale (proprio lui che era un orchestratore perfetto e raffinatissimo). Ho riflettuto per anni su quella risposta, e posso dire di essermene giorno per giorno imbevuto. In quelle quattro parole c'era tutto Frazzi, tutto il palpito più profondo della sua personalità d'Artista, sempre poeticamente tesa alla conquista dell'espressione più totale. E' per questo che per lui "una battuta" non era giudicabile a se stante, e tanto peggio se il giudizio venisse richiesto su aspetti complementari come quello timbrico. Era l'anima della battuta che lui cercava, la sua capacità di vita dialogica nel contesto della composizione, per poter poi finalmente dire se fosse più o meno bene orchestrata. La personalità, il "Credo" di Vito Frazzi arrivava a noi allievi attraverso aforismi, attraverso il suo tocco al pianoforte, le colorazioni più suggestive di quel suo cantare roco, quasi sofferente. A volte erano soltanto lampi nello sguardo. Nulla in lui di tradizionalmente didattico né programmatico. C'era magari il rischio, per qualcuno di noi, di restare indietro perché non abbastanza inserito nella non organizzazione del "Docente". Ma quale energetico, d'altra parte, era per il nostro lavoro il pensare che quel che stavamo facendo sarebbe stato giudicato poi da lui! Da lui che con mezza parola, magari scendendo con noi le scale del Conservatorio, era capace di rivelarci nostre debolezze da combattere o reali attitudini da proteggere. Mi sono basato molto, nel mio lavorare, su quelle sue rivelazioni, e considero mia vera fortuna l'aver vissuto con lui gli ultimi anni di studio della Composizione, anni felici di reciproca e sempre maggiore comprensione.
R. Gervasio - Ricordo di Vito Frazzi
(da: Omaggio a Vito Frazzi 1888 - 1988) |